Lo cerco al cellulare: staccato. Mi richiama dopo un paio di giorni e mi spiazza: "Ho visto il tuo messaggio ma non avevo più soldi nella scheda". La ricaricabile gliela regalò Ferdinando, suo padre.
Giuseppe Rossi ha sviluppato a tutto tondo misura, disciplina e riservatezza dandosi delle regole inderogabili. Un esempio: nessuna ragazza può passare la notte a casa sua: quando la fidanzata parmigiana che frequentava da due anni andò a trovarlo a Villarreal dovette dormire in albergo. Per Claudio Ranieri, che l'allenò a Parma con soddisfazione e miracoli diffusi, è "un soldato, un professionista esemplare". Per noi è l'anti Cassano.
Ventitré anni, dei quali dodici vissuti negli Stati Uniti dove è nato, cinque in Italia, due e mezzo in Inghilterra e quattro con questo in Spagna Giuseppe, che ha sempre segnato - ed è un record - all'esordio nei tre campionati più importanti del mondo, è talmente serio e disciplinato, oltre che pieno di talento, da avere indotto Marcello Lippi a chiedergli pubblicamente scusa per la mancata convocazione ai Mondiali. Fatto insolito, forse unico. "Quell'esclusione fu un colpo molto duro, avevo lavorato con impegno per due anni. Un brutto passaggio, ma mi è servito". Giuseppe pensa esclusivamente al calcio, è single - con la ragazza di Parma è finita pochi mesi fa - e si concede un solo vizio, "il black jack al Casinò di Grau una o due volte al mese", e mentre l'ammette tradisce un filo d'imbarazzo. "Mai da solo, però. Il proprietario è amico del presidente Roig e per noi tiene aperto fino alle tre. Non gioco che duecento euro a serata, massimo. Il guaio è che dopo la partita non riesco a prendere sonno".
E' insomma il figlio calciatore che tutti i genitori vorrebbero avere e che Ferdinando Felice Rossi da Fraìne, nel Pescarese, ha seguito e cresciuto con un'attenzione sfibrante, senza perderne un momento, un pianto, una gioia, un tormento. L'ha fatto fino al 23 febbraio scorso quando si è arreso a un tumore, a sessantun anni. Non una lacrima al funerale lungo tre giorni, rito all'americana. "Il dolore me lo porto dentro ed è irrimediabile, nelle prime settimane mi ha intontito come un anestetico". Giuseppe si spegne per un istante poi riprende per ricordare che "un giorno mi disse: 'Sono felice, nella vita ho fatto tutto quello che desideravo'. Parole che non mi fanno pensare a quello che avrebbe potuto essere e non sarà più… Mi aveva preparato a fare da solo. In alcuni momenti era stato capace di mostrarsi, più che severo, duro. Quando gli chiedevo di lasciarmi andare, un po' di libertà, niente: disciplina, disciplina e ancora disciplina. Oggi capisco tante cose e se avrò dei figli mi comporterò esattamente come lui con me. Certo, mi mancano le sue telefonate dopo la partita, anche se ha trovato il più incredibile dei sostituti".